L’Unesco premia i muri a secco: l’arte di costruirli è tra i patrimoni dell’umanità. E quindi ci piace molto l’interesse dell’autorevole organizzazione per la storia millenaria delle terre tra natura e
artificio, per le pratiche essenziali finalizzate a utilizzare al meglio le campagne.
Il riconoscimento ha un importante valore simbolico: spetta più precisamente a otto paesi europei (compresa l’Italia). Interessa gli insediamenti umani e soprattutto i territori agropastorali. E quindi comprende anche il paesaggio rurale della Sardegna, nel quale hanno una parte considerevole le recinzioni in pietra, indispensabili tra l’altro per l’uso pacifico dei pascoli e per questo costruite con grande maestria da tempi antichissimi e con funzioni varie.
Ma attenzione. La medaglia, assegnata (per estensione) pure alla Sardegna, sottintende l’apprezzamento dell’Unesco, già manifestato altre volte, per la complessità di habitat frequentati da secoli, pure in modo conflittuale, da contadini e allevatori. Allude al rispetto di regole e con attenzione ai confini, cioè secondo modalità assentite dalle comunità.
Con limitazioni tramandate da generazioni. Com’è accaduto in Nurra e Gallura, Barbagia e Campidani, eccetera. Dove i fragili muri in calcare- granito -trachite (senza malta) sono i segni più stabili e caratterizzanti di una convivenza, in tanti casi difficile, e ben prima di chiusure prevaricanti e di prerogative trascritte in topografie e catasti.
Il messaggio che viene da Unesco, per il buongoverno delle terre, ha una evidente finalità educativa, e non può essere frainteso. L’onorificenza è una sollecitazione a salvaguardare i muri di pietra sciolta insieme a tutte le altre componenti degli scenari naturali e costruiti, nessun primato assegnato da Unesco al muro a secco rispetto all’albero, perché ciò che conta è l’insieme, come in tutti i paesaggi culturali. Unesco lo sa bene che la suggestione dei muri sollecita a guardarsi attorno.
In teoria non siamo in ritardo su questo. Dalla Sardegna la notificazione di valore dei muri a secco è stata già fatta da un po’, e questa è una cosa buona (una volta tanto). Nel dibattito che precede l’approvazione del Piano paesaggistico (verso il 2003) era stata continuamente posta. Lo strumento di pianificazione voluto dal governo di Renato Soru (2006) ha registrato questa volontà con un’accuratezza non comune per l’epoca, grazie agli approfondimenti del comitato scientifico coordinato da Edoardo Salzano.
E infatti nello strumento c’è molta attenzione a queste speciali componenti dei paesaggi extraurbani dell’isola. Nelle norme di attuazione del Ppr il principio è stato sviluppato per consentire la più adeguata tutela da parte dei comuni. In un articolo è tra l’altro precisato: “le trame ed i manufatti del paesaggio storico-culturale, considerati anche nella loro valenza ecologica, comprendono: recinzioni storiche (principalmente in pietre murate a secco), siepi (di fico d’india, rovo, lentisco, ginestra o altre specie spontanee) e colture storiche specializzate (vigneti, agrumeti, frutteti, oliveti, etc…), costruzioni temporanee, ricoveri rurali, pinnette, e simili”. Come è noto, il programma di estendere la pianificazione paesaggistica alle zone interne si è purtroppo interrotto e da un po’ non se ne sa più nulla. Speriamo che serva l’iniziativa Unesco.