“Siamo un Paese fantastico, con un patrimonio unico, ma ci sono luoghi, strutture, infrastrutture di proprietà statale o di altri dove entra il pubblico che vanno mappati, protetti e messi in
sicurezza”. Il tetto della chiesa di san Giuseppe dei Falegnami, alle pendici del Campidoglio, a Roma, è venuto giù. Il ministro dei Beni e delle Attività culturali Alberto Bonisoli, commenta l’accaduto, Mentre il segretario generale del Mibac, Giovanni Panebianco, ha annunciato un’ispezione alla Soprintendenza speciale della capitale per acquisire la documentazione sui lavori di restauro svolti negli ultimi cinque anni nella chiesa. Mentre le opere d’arte all’interno sono state messe in sicurezza, grazie ai vigili del fuoco.
Bonisoli sulle tempistiche e sulle modalità che saranno seguite per la mappatura, la protezione e la messa in sicurezza non ha dubbi. “Lo faremo nelle prossime settimane, innanzitutto mettendo insieme le informazioni che abbiamo con una valutazione di pericolosità rispetto a determinati parametri a prescindere da chi sia il proprietario”, aggiunge il ministro. Chi può dargli torto? Qualcuno può non condividere? Sostanzialmente impossibile trovare qualche contrario.
Nel “Paese fantastico, con un patrimonio unico”, musei e aree archeologiche, come palazzi storici e monumenti, sono visitati. Sempre di più, anche se, soprattutto, i soliti noti a dire il vero. Il Mibact di Franceschini ne ha fatto un vanto. Siti come il Colosseo e Pompei, gli Uffizi e la Galleria dell’Accademia di Firenze sono in crescita, continua. E questo è un dato incontrovertibilmente positivo. Più ingressi equivale ad incassi maggiori. Il problema è che l’Italia è costituita da un patrimonio capillare. Nella maggior parte dei casi ben lontano dal raggiungere i numeri dei siti che ogni anno finiscono nella Top 30 dei musei italiani, in fatto di ingressi. Luoghi della cultura lontani dai grandi circuiti, spesso difficilmente raggiungibili. Perchè non è semplicistico affermare che la capacità di un sito di attrarre finanziamenti sia direttamente proporzionale a quella del numero degli ingressi annuali. Meno risorse equivale naturalmente a minor possibilità di fare manutenzione. Non solo straordinaria. E’ sufficiente scorrere i commenti di molti visitatori a Musei ed antiquarium, aree archeologiche, monumenti e palazzi storici. Non è infrequente leggere di chiusure non segnalate, di segnaletica insufficiente, di didascalie a materiali archeologici oppure a quadri, illeggibili, di vegetazione che impedisce l’osservazione di strutture antiche. Il turista, frequentamente, non fa sconti. Ma il più delle volte è ignaro del pericolo che corre. Chi visita un luogo d’arte ha occhi per la meraviglia e anche per i disservizi, ma quasi mai per la minaccia alla quale è esposto.
Daniel Testor Schnell, colpito da un frammento della navata nella basilica di Santa Croce, a Firenze ad ottobre 2017, è morto anche per questo. Invece, solo molta paura, per alcuni turisti sfiorati dal crollo di sei lastre di marmo da un ballatoio nell’area archeologica di Concordia Sagittaria, a giugno 2018. Così senza conseguenze per le persone il crollo della falesia dalla Villa Imperiale di Nerone ad Anzio, a marzo 2018, quello della struttura metallica che proteggeva l’area archeologica a Francavilla di Sicilia a febbraio 2018, quello del caseggiato ottocentesco all’interno dell’area archeologica di Morgantina a marzo 2017 e quello del muro adiacente l’Agorà nel parco archeologico di Velia nel marzo 2014. Senza contare i diversi crolli occorsi a Pompei e quelli ad alcuni tratti delle mura Aureliane a Roma.
Dunque meno manutenzione equivale non solo ad un degrado fisiologico del luogo della cultura e quindi ad una sua progressiva incapacità di mostrarsi attrattivo. Poca manutenzione significa anche aumentare il pericolo per i visitatori. Accrescere la possibilità che si verifichino incidenti in grado di mettere a repentaglio l’incolumità dell’utenza.
Gli accadimenti anche recenti, relativi ad importanti infrastrutture del Paese, hanno evidentemente sottolineato la necessità di controlli più puntuali. Le morti causate dal crollo del ponte Morandi a Genova hanno aperto il vaso di Pandora. Costringendo amministrazioni ed enti preposti a verificare in maniera seria lo stato di tanti ponti e viadotti disseminati sulla rete stradale italiana. E’ evidente, anche se finora, in troppe circostanze, se ne è sottovalutato il pericolo, il nesso che intercorre tra la sicurezza stradale e la sua cura. Insomma le opere necessarie ad assicurala.
Invece molto minore sembra essere la consapevolezza sui pericoli corsi dai turisti. Semplicemente, visitando. Consapevolezza minore, nonostante i tanti crolli. Nonostante i tanti avvertimenti. A quanto sembra inascoltati. Almeno finora. Per questo stupisce un po’ che solo la tragedia sfiorata a Roma, con il crollo della copertura della chiesa di San Giuseppe dei Falegnami, possa aver suggerito al ministro dei beni culturali di prendere dei provvedimenti. Possibile che per la mappatura, protezione e messa in sicurezza non bastessero le notizie che provengono da tutta Italia? Possibile che al ministro non fosse sufficiente conoscere l’elenco delle richieste di finanziamento di “lavori urgenti” inviati dalle singole Soprintendenze? Richieste peraltro, il più delle volte non esaudite. Nei casi più fortunati esaudite solo in parte.
Quindi misura un po’ tardiva quella del ministro, ma in ogni caso da salutare con soddisfazione. Ben vengano mappatura, protezione e messa in sicurezza. Certo con alcune perplessità. Di natura economica, per esempio. Sperare di reperire risorse sufficienti a realizzare interventi, numericamente e qualitativamente impegnativi, è un conto. Riuscire a recuperare il budget necessario, un altro. Anche volendo immaginare che l’Art bonus assicuri entrate insperate.
Ma ancora prima della cantierizzazione, insomma della protezione e messa in sicurezza, c’è la mappatura. Operazione tutt’altro che agevole, almeno che non ci si voglia accontentare di intervenire esclusivamente su alcuni luoghi della cultura. I più celebri, ancora una volta. Ma se la mappatura dovesse essere capillare, al pari del patrimonio esistente, allora le difficoltà non possono che aumentare ed i tempi dilatarsi. Quanto in possesso delle Soprintendenze territoriali in diverse occasioni dovrebbe essere implementato, spesso aggiornato. Immaginare che si possano occupare di realizzare questa documentazione i funzionari in forza alle Soprintendenze è poco realistico, considerando gli organici sempre più esigui e le incombenze accresciute dalla riforma Franceschini. A questo punto si sarebbe costretti a coinvolgere professionalità specifiche, esterne. Operazione questa auspicabile, ma realisticamente poco praticabile a causa dell’esiguità delle risorse disponibili.
Insomma la mappatura dei Beni culturali è una gran bella idea. Come la protezione e la messa in sicurezza. Ma la loro realizzazione, difficile. Molto. Per questo la sensazione che si tratti solo di una spot rimane.