Il declino delle biblioteche statali: un destino ineluttabile?
La domanda principale che bisognerebbe porsi è: ma quale è il progetto riorganizzativo pensato per il sistema delle Biblioteche pubbliche statali?
La risposta ci costringe ad entrare in un meandro di norme e normette confuse e contraddittorie, dove l’unico filo logico del ragionamento porta a pensare ad un obiettivo di profondo ridimensionamento del sistema bibliotecario, e dove gli elementi di novità fanno pensare piuttosto che il destino delle Biblioteche statali sia definito solo dagli ambiti generici della valorizzazione in salsa franceschiniana, mentre i processi di riorganizzazione del settore restano vaghi e ambigui.
Ad esempio l’idea dei Poli bibliotecari, peraltro rimasta sulla carta, ben poco ha a che vedere con una idea di coordinamento delle politiche di fruizione e di integrazione dei servizi offerti dal sistema bibliotecario nel suo complesso e invece molto rivela sulla solita operazione al risparmio dove il tutto si dovrebbe risolvere nell’accentramento in capo alle grandi Biblioteche di Roma e Firenze delle funzioni di gestione amministrativa-gestionale del circuito delle Biblioteche presente nelle due città. Una operazione che, se realizzata, rappresenterebbe l’ennesimo tributo che il sistema delle Biblioteche statali dovrebbe rendere al mega progetto incentrato sul sistema museale. Ennesimo in quanto già le Biblioteche hanno pagato costi pesanti alle riforme dell’ex ministro, cedendo gran parte delle proprie dirigenze al sistema museale e addirittura cedendo pezzi importanti e significativi a gestioni estranee al contesto delle attività tipiche dei servizi che devono poter svolgere.
Il caso delle Biblioteche annesse dal sistema museale è esemplare al riguardo: si opera una fagocitazione organizzativa di importantissime Biblioteche storiche da parte di musei autonomi e poli museali solo sulla base della loro collocazione logistica, come se questo bastasse a renderle appetibili al mercato della valorizzazione. Con una operazione accennata nella norma e consolidata nelle prassi: tutta la gestione di queste Biblioteche, compresa la responsabilità scientifica, è passata, sulla base di una interpretazione ad hoc fornita dall’Ufficio legislativo del ministero, nelle mani dei cosiddetti Direttori manager, generalmente all’oscuro rispetto alle loro esigenze organizzative. Una operazione che ha fatto persino sparire dalla toponomastica ministeriale Biblioteche come ad esempio la Braidense e la Estense, e che sta producendo danni gravissimi ad un servizio già in forte crisi a causa del declino apparentemente inarrestabile dei cicli organizzativi interni. Quello che sta succedendo è sotto gli occhi di tutti: personale di supporto amministrativo e di vigilanza che viene sottratto e spostato ai servizi museali, il blocco di acquisizioni, marginalizzazione del personale scientifico interno, depauperamento progressivo del tessuto professionale qualificato, abbandono di ogni prospettiva di rimodulazione e rilancio dei servizi. Fino ad arrivare al paradosso della BIASA, sfrattata dalla sua sede storica per far posto alla immaginifica scuola del patrimonio e per la quale si prevede la cessione ad una misteriosa fondazione senza che in questo si rintracci un solo motivo funzionale. Il senso di questa operazione è evidentemente tutto all’interno di uno schema di marketing politico che ha portato l’ex Ministro a cedere a Fondazioni private pezzi importanti del patrimonio statale.
A corollario di questo il fallimento del project financing pensato per la Biblioteca Nazionale di Roma, con i risvolti tragicomici dello smantellamento del fantastico Bar Librò, un locale dove i libri erano meri elementi di arredo, che ha sancito definitivamente l’isolamento sociale in cui vive ed opera questa fondamentale Biblioteca.
Ovviamente questo processo di marginalizzazione sociale del sistema delle Biblioteche ha cause più antiche della riforma Franceschini, basti pensare alla vicenda della Biblioteca Universitaria di Pisa, a sei anni di distanza ancora fuori dalla sua sede storica a causa di un tentativo, nemmeno nascosto con pudore, di sfratto operato dallo stesso rettorato sulla base di motivazioni pretestuose e con la chiara finalità di occuparne gli spazi indebitamente. Una operazione rozza e disonorante per il buon nome di quella Università, portata avanti nel silenzio accondiscendente delle istituzioni locali e grazie all’ignavia del ministero, che ha comportato la dispersione del patrimonio conservato e la forte riduzione dei servizi.
Nel corso degli anni abbiamo assistito ad un declino caratterizzato dal progressivo esaurimento del patrimonio professionale, dai tagli feroci ai bilanci, dalla mancata riprogettazione organizzativa. Il paradosso dell’organico storico del Mibact è emerso a seguito dei tagli agli organici prodotti dall’applicazione della riforma Franceschini, 2100 posti in meno, che hanno messo a nudo le debolezze dell’antico organico del 1997, ovvero la presenza ridondante di funzionari bibliotecari in regioni o territori in cui non vi era necessità effettiva. Ancora oggi questo profilo è presente in modo massiccio e ingiustificato in alcune regioni e questo ha determinato la sottovalutazione evidente del fabbisogno professionale specifico nella recente tornata di assunzioni. Con il risultato che le assunzioni di funzionari Bibliotecari incidono solo per il 6% sul totale di quelle programmate e le Biblioteche continuano a denunciare gravi carenze. A questo si aggiunge il numero spropositato di pensionamenti previsti entro il 2020 (2500 lavoratori su un organico previsto di 19050) che incide particolarmente in questo settore caratterizzato da una media anagrafica particolarmente elevata rispetto a quella già di per sé rilevante dell’organico generale
Un destino ingrato sul quale si è abbattuta come un ciclone la riforma epocale di Franceschini. Che, nel vortice dell’azione, ad un certo punto ha pensato bene di sottrarre, con un colpo di mano, alle regioni tutta la competenza sulla tutela del patrimonio bibliografico per affidarla alle strutture interne che si sono viste piovere da un giorno all’altro una quantità spropositata di carichi lavorativi importanti senza alcuna valutazione dell’impatto organizzativo, salvo poi prevedere la soluzione nominalistica delle Soprintendenze archivistiche bibliografiche, creando un nuovo mélange di dipendenze gerarchiche e di confusione organizzativa.
Ecco perché non deve stupire il grido d’allarme lanciato dal Direttore della Biblioteca nazionale di Firenze: cause antiche e strutturali si assommano alla deriva organizzativa causata dalle riforme e la situazione si avvicina al punto del non ritorno.
In questo contesto ci pare molto complicato discutere di una progettualità organizzativa che aggredisca il declino e l’obsolescenza dei cicli lavorativi. Perché questo si cala su una realtà che già mostrava crepe profonde: la progressiva diminuzione della fruizione diretta, il taglio ai bilanci che ha inciso in modo esiziale proprio sui processi di innovazione tecnologica e organizzativa e sulle politiche di acquisizioni, la progressiva sparizione del personale di ruolo, il depauperamento professionale e di risorse agli Istituti Centrali. A corollario del tutto l’incapacità di modellare i cicli lavorativi obsoleti adeguandoli ai nuovi standard dell’offerta culturale.
Per questo è assolutamente importante che la discussione sul futuro del sistema Bibliotecario statale si basi, più che sugli astratti schematismi propagandati nello schema attuale della valorizzazione, su una riforma organizzativa in senso stretto.
Noi abbiamo queste idee:
- Una ridefinizione del fabbisogno professionale specifico, che evidenzi le esigenze in modo corretto e funzionale. Le Biblioteche non possono non assumere una identità precisa di Ufficio pubblico con a capo un Dirigente, un servizio amministrativo efficiente, un organico professionale congruo e funzionale ai processi di innovazione organizzativa, capacità autonoma di spesa. Un Ufficio pubblico, non una dependance priva di autonomia con tendenze alla fagocitazione da parte di altre strutture pubbliche (i musei) e private (le fondazioni).
- Una profonda rivisitazione dei processi connessi all’offerta culturale: le Biblioteche devono tornare ad essere luogo di socialità e di stimolo alla produzione culturale, non servono i project financing che declinano l’offerta tramite cessione di beni e spazi a privati per iniziative del tutto estranee al contesto culturale proprio di una Biblioteca;
- Una implementazione delle attività di ricerca, restauro e digitalizzazione, a partire dagli Istituti Centrali. Se veramente si vuole parlare di Poli Bibliotecari, questi hanno un senso solo se riferiti a politiche di coordinamento organizzativo sulle funzioni di condivisione del patrimonio bibliotecario complessivo e di stimolo alle politiche di implementazione della fruizione dei servizi, come avviene in parte nei processi di digitalizzazione tramite i Poli Sbn. Le Biblioteche statali devono essere modello e punto di riferimento per l’intero sistema nella definizione di indirizzi volti alla qualificazione dei servizi locali. In tale contesto va rivista la scelta di statalizzare la tutela del patrimonio bibliografico: occorre piuttosto integrare i cicli di tutela e rendere automatico il potere sostitutivo dello Stato nei confronti delle Regioni inadempienti;
- Inutile aggiungere che tutto questo non può avvenire a costo zero: sono processi che devono essere accompagnati da investimenti congrui di risorse sia rispetto ai programmi occupazionali (noi chiediamo 3500 assunzioni complessive entro il 2020) che sui processi di innovazione organizzativa. Il servizio pubblico si qualifica se si ha una visione strategica e concreta dei problemi e delle possibili soluzioni e le riforme comportano sempre la necessità di investimenti, altrimenti restano schemi astratti e ideologici.
Questo elenco non vuole essere certo esaustivo. Ma vorrebbe essere solo uno stimolo ad aprire una discussione sul che fare che “stia sul pezzo”, per dirla in sindacalese, ovvero che riconduca il confronto ai problemi reali, se quelli che abbiamo identificato in premessa vengono assunti come veritieri.
Un elenco che farà parte del confronto con il nuovo Ministro, di cui sono ancora oggi oscure le linee programmatiche, a meno che non si considerano tali i generici e deludenti impegni assunti nel contratto di governo e certo la vicenda del trasferimento delle competenze sul Turismo alle Politiche Agricole, scelta ancora più disfunzionale di quella che le inserì nei Beni Culturali, non rassicura sulla qualità del nuovo patto politico sulla cultura.
Per noi della FP CGIL la qualità del lavoro si misura solo sulla qualità dei servizi. E ci accompagna l’idea che i diritti dei lavoratori pubblici si rafforzano solo se si garantiscono i diritti dei cittadini, e viceversa. Siamo convinti che questo valga a maggior ragione per un settore fondamentale per la crescita culturale della nostra comunità. E ci auguriamo di cuore che si diffonda una comune consapevolezza politica sul valore sociale del sistema Bibliotecario, anche se francamente non vediamo grandi segnali in questa direzione.