Dopo i risultati elettorali del 4 marzo, pure in Sardegna c’è chi ha dato il responso sbrigativo: il tracollo del PD = la sconfitta della sinistra. In realtà la sinistra nell’isola non ha un insediamento
stabile. Come altrove sta smarrita un po’ qua un po’ là, frammenti pure nel PD che in Sardegna si contende ruvidamente la leadership senza contenuti, e rischia di essere commissariato da Roma. Intanto è quasi finita la legislatura dopo il successo del centrosinistra che governa la Regione da quattro anni sotto la guida di Francesco Pigliaru (PD). L’impressione è che gli elettori di sinistra siano delusi, comunque perplessi sui risultati ottenuti.
Tra pochi mesi si andrà a elezioni in Sardegna e chi ha sperato nel governo Pigliaru dai vari punti di osservazione della variegata sinistra, potrà dare un giudizio complessivo. Oppure valutare un aspetto specifico per orientarsi nel voto. In tutti i casi conterà, per quegli elettori esigenti, la coerenza delle politiche, forse più che l’efficacia.
Penso al governo del territorio, appunto, da cui si deduce facilmente da che parte sta una classe dirigente.
In generale non sta a sinistra chi si cura poco o nulla della solidarietà ambientale tra generazioni, e guarda con apprensione alla prossima competizione elettorale (Bobbio perdonerà questa mediocre semplificazione a mio uso e consumo, e pure Gaber– spero).
Le politiche urbanistiche di sinistra non possono stare nel solco del berlusconismo appena smussato, il piano-casa del centrosinistra (2015) in continuità con quello voluto dalla destra (2009). Nè il Ppr può essere per la sinistra il mostro da immobilizzare come nel programma di Cappellacci (FI), magari con più cautele. Brutto scordarsi – da parte di Pigliaru – la promessa di completarlo il Ppr: indispensabile per non fare traballare pure i paesaggi delle zone interne in previsione dell’assalto alle energie rinnovabili. Per non fare trovare le porte spalancate agli speculatori, come sanno gli amici di Bitti (NU), gli ultimi ai quali è toccato allestire barricate a difesa delle alture pastorali minacciate da imprese multinazionali, e di cui EmergenzaCultura ha dato conto. Circostanze nelle quali le comunità avvertono spesso la latitanza della politica.
D’altra parte il dibattito sul governo del territorio si è svolto negli ultimi dieci anni quasi interamente fuori dai partiti. Uno scollamento che rispecchia il deficit delle forze politiche sarde, scarsamente impegnate nella mediazione sociale. Causa principale del disorientamento e di malintesi che sull’urbanistica si protraggono dal 2008, dopo le dimissioni da presidente di Renato Soru che chiedeva alla coalizione di rafforzare con una legge il Piano paesaggistico approvato da un paio di anni e di completarlo.Stop, specialmente da parte del PD. E quindi una crisi: sottovalutata e mai analizzata dai gruppi dirigenti dei partiti della coalizione. Dopo l’intermezzo di un governo di destra, la coalizione con presidente Pigliaru ha ripreso il confronto a partire da un disegno di legge su governo del territorio che conserva le contraddizioni e i contrasti del 2008. Un percorso decisionale supponente, tra gli obiettivi la destabilizzazione della tutela dei paesaggi costieri. Prevedibile il dissenso del movimento ambientalista su articoli fondamentali del ddl in discussione da oltre un anno, trattato come un’interferenza fastidiosa. Fino al colpo di scena recente: lo stesso giudizio (interferente?) da parte del presidente Pigliaru su quelle parti del provvedimento incautamente approvato.
Una lezione di cui tenere conto. Chi governa non può pensare che bastino titoli ammiccanti (“BuonaScuola”, “SbloccaItalia” ecc.) per decretare il successo di provvedimenti impopolari. La catarsi solo cosmetica e affabulatoria produce prima o poi un vortice di reazioni con rimbalzi impietosi nelle piattaforme social. L’urbanistica nell’interesse pubblico è contro il consumo di suolo e di paesaggi. Se è un’altra cosa non basta il blabla per dimostrare che va tutto bene. E non c’è nulla di peggio che affidarsi ai paroloni dei gestori-facilitatori di tour dell’ascolto – beninteso “inclusivi” – che evocano continuamente “la sostenibilità ambientale (…) per implementare ogni cosa”. Sic! Un lessico petulante con il quale nei sedicenti processi partecipativi si pensa di assicurare il consenso a deliberazioni prese. Può invece succedere, come nel nostro caso, che invece di lubrificare il percorso decisionale si provochi il cortocircuito. A cui è molto difficile rimediare. Come sa il presidente della Regione Sardegna che ci sta provando.