Lo spopolamento in Sardegna è anche degrado progressivo dei paesaggi dell’isola, i territori disabitati candidati ad assumere le sembianze fosche delle terre
abbandonate. Si sa com’è: le case vuote che decadono e i coltivi che scompaiono, come nell’affresco, monito ai senesi, del Cattivo Governo di Ambrogio Lorenzetti.
C’è poco da fare se le comunità invecchiano e pochi nascono. E i giovani più dinamici cercano lavoro lontano dalla Sardegna. Negli ultimi tempi sono andati via a migliaia, soprattutto ragazzi istruiti, un picco nel 2014: 7200; più o meno così negli anni successivi.
L’avvilimento di chi parte, in tasca gli indirizzi di agenzie di reclutamento in questa o quella metropoli europea. Nulla a che vedere con la spensieratezza fiduciosa di chi attraversava il mare per riportare a casa suggestioni di questo o quel luogo prediletto (per me, 19 anni, Londra- Abbey Road, lì dove i Beatles attraversavano le strisce pedonali).
Non gioisce chi va via per delusione e sfiducia nel futuro dov’è nato. In Sardegna poche aspettative per i prossimi anni quando il flusso migratorio non compenserà più le perdite. 175mila abitanti in meno tra 20anni, il crollo delle zone interne già messe in crisi da attrattori locali a loro volta in affanno, le città più grandi che perdono abitanti e i centri nelle riviere vitali due mesi o poco più. Si chiama squilibrio territoriale e annuncia paesaggi senza presidi di comunità e impoveriti in tutti i sensi. Con tutto quello che comporta la schizofrenia, l’isola vuota al centro e abitata d’estate nella città lineare costiera – come prefigurato da Antonio Cederna. Mentre incombono le speculazioni postmoderne promosse dalla legge “SloccaItalia”.
Lo spopolamento è un male comune, si osserva. Ma sono poche in Europa le terre con una densità insediativa così bassa, e un’economia tanto debole. Pure altrove si perde popolazione, ma non è lo stesso allarme in altre regioni, stessa superficie dell’isola e sei/sette volte gli abitanti su kmq. C’è il nesso tra spopolamento e mobilità compresa quella interna arretratissima. Conta molto in un’isola la sindrome da disconnessione, distacco=prigionia. Incide pure sull’umore dei più attaccati alla Sardegna. Per via del sentimento composto tra convenienza e orgoglio di continuare a vivere dove sei nato. Nello sfondo la fiducia nel progresso che aveva reso credibile la sfigata promessa della “continuità territoriale”.
Che bello, stare in mezzo al mare “immenso e geloso” – secondo Pirandello; specie se a contatto con la natura esuberante, non ancora corrosa dappertutto e inutilmente. Eccitante l’idea di guardare il mondo dall’alto del Gennargentu o dal sito-mito di Su Nuraxi di Barumini. Con la certezza di potere partire e ritornare senza intralci. Andarsene per un capriccio se ti viene voglia, vedere una mostra al Centre Beaubourg o assistere da qualche parte a un concerto dell’ultimo tour U2. Ci siamo abituati al paradigma dei voli low cost e un arretramento ci sembra inaccettabile. Mentre c’è chi ha pensato di riconsegnarci al monopolio di fallite compagnie di bandiera. Un vero disagio, non può capirlo chi non lo prova.
L’antidoto all’isolamento è abitare il pianeta, per sentirsi parte di una collettività vasta: frequentandola, partecipando a ciò che succede altrove. C’è un guadagno dalla appartenenza a reti territoriali più estese – dicono gli studiosi di scienze sociali.
Chiacchiere inutili senza un sistema di trasporti efficiente, navi e aerei a buon prezzo. Non è solo una convenienza dei sardi. La seconda (vera) isola d’Italia potrebbe essere una ricchezza per il Paese e non un fardello. La Sardegna è anche un paesaggio non trascurabile e tutelato dall’art, 9 della Costituzione.
Salvare la Sardegna è un investimento. Lo hanno detto molti in questa campagna elettorale, pure il presiedente Mattarella in sintonia con la depressione che ha avvertito nella sua visita a Cagliari. La mobilitazione dei sindaci di piccoli paesi in crisi e di tanti cittadini sardi organizzati contro la desertificazione e gli sbilanciamenti territoriali, dà la misura della regressione che si registra anche dove va meglio. È incardinata nello svantaggio doppio, geografico e demografico. Un deficit da cancellare, obiettivo primario definito strategico dalla UE.
Da anni sono state annunciate azioni dagli esponenti del governo regionale. Troppo evanescenti per cui non è facile capire la sequenza delle mosse immaginate, le risorse a disposizione, i risultati attesi e i tempi entro i quali si realizzeranno. C’è grande preoccupazione tra le popolazioni sarde. Spesso disorientate dai discorsi della politica, come quando, a proposito di isolamento, l’ex presidente Renzi ha annunciato il rilancio del progetto per il ponte inutile sullo Stretto di Messina.
3 marzo 2018