È vero: non c’è limite al peggio. Proprio come non c’è limite allo sfruttamento per
fini commerciali del patrimonio culturale degli italiani. In occasione di Pitti Immagine Uomo, salone fiorentino dell’abbigliamento e degli accessori dedicato alla moda maschile (o, se preferite, alle “evoluzioni del menswear”), la Galleria dell’Accademia di Firenze ha ospitato un evento, con annesso cocktail, promosso dal Lanificio Luigi Ricceri di Prato, dal titolo “Fabric is Art”, che ha avuto per protagonista il principale inquilino del museo: il David di Michelangelo.
Che nell’arco di brevissimo tempo la notizia (e, soprattutto, video e immagini) abbia fatto il giro del mondo lo prova un articolo del New York Times del 10 gennaio, dal titolo “In Florence, the David Gets Dressed and Gucci Gets a Garden”, di cui – in conclusione – si riporta un brano significativo:
“Purists might view it as impious to cloak David in patterns drawn from the commercial archives of Lanificio Luigi Ricceri and then projected onto the statue. Yet Florence stands at the forefront of a movement to disrupt what some consider the stasis of Italy’s rich artistic heritage […] The apparent ease with which the Ricceri family gained permission to interact with one of the world’s most celebrated works of art can be coincidentally chalked up to the former Kate Middleton, according to Francesco Ricceri, a proprietor of his family-owned company”.