“Purtroppo mi trovo a fare sempre la stessa denuncia: l’acqua piovana si infiltra nell’area dello scavo e danneggia i reperti. Una cosa analoga l’ho segnalata un paio di mesi fa e più volte nel corso degli anni … È una vergogna la mancata tutela di quell’area definita ‘la Pompei del Paleolitico’. L’area sta subendo enormi danni”. Emilio Izzo, sindacalista Uilbac, racconta quel che accade al Museo Nazionale del Paleolitico di Isernia-La Pineta.
Probabilmente alla notizia saranno stati in pochi a stupirsi. Ma pensare che si tratti di uno dei tanti musei che soffre a causa di risorse esigue, sarebbe sbagliato. Chi dovesse averlo pensato é fuori strada. Già perché, il Museo di Isernia, non é uno dei tanti spazi espositivi esistenti in Italia. Importanti, certo, ma famosi praticamente solo agli addetti ai lavori. No, non é così. Si tratta di un Museo “costruito” intorno ad uno scavo. Quello di un giacimento preistorico che, come si legge sul portale della Soprintendenza archeologia, belle arti e paesaggio del Molise, “contribuiva, in modo determinante, a sostenere l’età remota del primo popolamento del nostro continente”. Non solo. “Il giacimento paleolitico di Isernia La Pineta é una delle più complete testimonianze della storia del popolamento umano dell’Europa”. Uno scavo, avviato nel 1978, che ha consentito “di ricostruire nel tempo, anche negli aspetti particolareggiati, la vita e l’ambiente naturale in cui visse l’uomo circa 700.000 anni fa”. Un luogo della cultura che definire fenomenale é forse riduttivo. Anche perché lì ci sono le tracce, uniche, della nostra storia più antica. Consapevolezza di questa “unicità” si ha al di fuori dei nostri confini. Basti pensare che ventisei anni fa la Rivista americana Nature dedicava la copertina al giacimento preistorico di Isernia La Pineta. Minore invece é la consapevolezza che ne abbiamo noi che di questo luogo potremmo fruire abbastanza agevolmente. Prova ne sono i numeri dei visitatori, senz’altro inferiori alle potenzialità del sito. Gli ingressi del 2016 sono stati 12.682, mentre nel 2015 erano stati 11.821 e l’anno precedente 12.216.
La notizia che piova nell’area del giacimento e che le infiltrazioni ne mettano in pericolo la conservazione é stata anche rilanciata dall’Ansa. Ma la rilevanza mediatica é stata comunque modesta. Nessuna reazione da segnalare. Tanto meno dal Mibact. Come se non fosse accaduto nulla. Come se l’accaduto non meritasse un po’ d’attenzione. Ben inteso non per una gerarchia tra siti. Ovunque piova in un sito s’interesse storico-artistico-archeologico nel quale esiste una copertura é necessario indignarsi. Senza distinzioni. Ma, se possibile, la circostanza che accada al giacimento paleolitico di Isernia La Pineta, “una delle più complete testimonianze della storia del popolamento umano dell’Europa”, é ancora più grave. E le colpe dei responsabili ancora più grandi. Perché già a settembre ancora Izzo aveva documentato le infiltrazioni d’acqua.
“Se nessuno interverrà saremo tutti responsabili di questa catastrofe culturale senza precedenti. Ci troviamo di fronte a un’evidente, quanto pesantemente reiterata, mancata tutela … Un fiume d’acqua scorre sul patrimonio dell’umanità”, aveva detto il sindacalista. Allora aveva inviato una lettera aperta al prefetto di Isernia Guida, al ministro dei Beni Culturali Franceschini, al direttore del Polo Museale del Molise Ventura, al Rettore dell’Università di Ferrara Zauli, ai parlamentari molisani Venittelli, Ruta e Leva, al sindaco d’Apollonio, al procuratore Albano, al governatore Frattura e al presidente della Provincia Coia. Risposte? Nessuna. Proprio come ora.
Che nessuno provi a dire che non sapeva.