«L’acquedotto in 3D? È la tutela virtuale ai tempi di Renzi»
Tomaso Montanari: quel plastico nasconde la polvere sotto il tappeto ed è il simbolo del decadimento culturale di Pisa
PISA. «Spendere soldi per costruire un plastico e non per recuperare un monumento rientra nel modus operandi dell’attuale governo: la valorizzazione del patrimonio culturale non è intesa come crescita culturale ma come una virtualizzazione da salotto».
Tomaso Montanari, storico dell’arte e docente all’università Federico II di Napoli, non usa mezzi termini per commentare lo stato in cui versa l’acquedotto mediceo e la noncuranza della politica.
Montanari, ad aprile il Tirreno scrisse del “dirottamento” di 190.000 euro della Fondazione Pisa dal recupero dell’acquedotto a quello delle mura cittadine. Cosa ne pensa?
«Testimonia la decadenza culturale di una città nella quale ho studiato e di cui mi sono sentito parte a lungo. Un tempo era una città colta. Il degrado dell’acquedotto mediceo si affianca alla vicenda della biblioteca universitaria e della chiesa di San Francesco. Il plastico del monumento è la ciliegia sulla torta, la conservazione del patrimonio culturale ai tempi di Bruno Vespa. Come se al paziente che si reca in ospedale per operarsi facessero una fotografia per poi rimandarlo a casa. Il Tirreno ha messo in luce un caso emblematico. Sono rimasto attonito di fronte al denaro non speso ma dirottato su altre opere. È un fatto particolarmente grave perché lede quel rapporto di fiducia tra un’amministrazione e i cittadini. Qualcuno dovrebbe spiegare questa scelta».
Il recupero del monumento è nei programmi di mandato dei sindaci in carica. Eppure non esiste un progetto complessivo.
«È un problema di fondo: i politici hanno già promesso di salvarlo. Non possono prometterlo ad ogni elezione, chi ci crede più? Non comprendere che è una priorità è una causa di questa decadenza culturale. In generale, è in linea con il modello dominante: la valorizzazione assorbe la tutela e non è intesa come un modo per fare entrare i cittadini in un monumento, ma intrattenerli con una sorta di storytelling del monumento stesso».
Dell’acquedotto, ultimamente, si parla solo in riferimento alla tangenziale nord-est.
«È la filosofia dello “Sblocca Italia”, delle grandi opere. Non c’è la capacità di capire che è un monumento che va salvato nell’insieme, non un solo pezzetto. L’acquedotto, inoltre, è un monumento importante anche dal punto di vista materiale, potenzialmente pericoloso in caso di crollo: c’è un problema di conservazione ed ecologia ambientale, ed anche di incolumità dei cittadini».
Con il governo Renzi è cambiato davvero il “verso” dei beni culturali?
«Sì, ma in peggio. È il momento più terribile per la tutela del patrimonio storico e culturale. Il plastico al posto del monumento è l’espressione del renzismo più visibile: la rappresentazione che nasconde la polvere sotto il tappeto. Penso al famoso miliardo destinato, con grande clamore, solo a progetti mirati di valorizzazione mentre il patrimonio diffuso crolla. Da Lilli Gruber feci l’esempio della chiesa di San Francesco che rischiamo di perdere, mentre sono stati stanziati 20 milioni per la via Francigena. Una mossa che rientra nel contesto del rapporto populista tra il capo e la folla. Elimino i corpi intermedi, cioè i sovrintendenti, e mi rivolgo direttamente alla folla chiedendo cosa bisogna salvare».
Dunque boccia totalmente la riforma del ministro Dario Franceschini?
«Certamente. Nell’ultimo volume di Micromega ho scritto una lettera aperta al ministro dove affermo che è il peggior ministro dei Beni Culturali di sempre insieme a Bondi. Questo governo sta facendo molti più danni di quelli precedenti, penso alla soppressione delle Soprintendenze».
Non c’è speranza per i beni culturali in questo momento? Davvero non ci sono soldi per recuperare i nostri tesori?
«C’è la speranza che cambi il governo. I soldi ci sono, basta vedere quanti ne sono stati spesi per il jet di Renzi. È un problema culturale. La distruzione delle Soprintendenze risponde al modello del sindaco d’Italia, dell’uomo solo al comando che non tollera intromissioni. Le soprintendenze per loro natura si intromettono: quando funzionano obbediscono alla legge».
Lei è da sempre molto critico con lo sfruttamento speculativo dei monumenti. Ma i beni culturali non sono anche occasione di sviluppo?
«Sì, ma di uno sviluppo non inteso come vacca da mungere. Noi abbiamo l’idea di uno sfruttamento immediato come quello del petrolio. Il patrimonio culturale serve a creare cittadini consapevoli e più felici. Una società così è più ricca in tutti i sensi. Le mura di Pisa sono state massacrate con i camminamenti, per ragioni puramente turistiche. Il patrimonio deve essere percorso dai cittadini in maniera capillare, ma entro certi limiti. Bisognerebbe applicare ai beni culturali il concetto di “sostenibilità” nato nell’agricoltura. L’acquedotto potrebbe rientrare in un progetto
di conoscenza del territorio. Far viaggiare di più i cittadini muove l’economia: crea reddito, penso alle consumazioni nei ristoranti, all’uso dei trasporti, agli acquisti nei negozi. Non possiamo basare un sistema economico sul numero dei biglietti venduti».
di Sharon Braithwaite
Il Tirreno, 19 luglio 2016
Sharon Braithwaite