Un Paese che non divori se stesso. Che abbia la capacità di “cambiare vocabolario” affinché modernità e rispetto della nostra storia possano finalmente darsi la mano. “Perché altrimenti non andiamo da nessuna parte”. Sono due voci che convergono quelle di Tomaso Montanari, storico dell’arte, scrittore, editorialista, blogger, e Carlo Petrini, fondatore di Slow Food,
insieme sul palco di Repubblica delle Idee 2015 a Genova. Patrimonio culturale, difesa della terra e qualità del cibo i temi al centro di un dibattito condotto da Antonio Gnoli nella sala del Maggior Consiglio del Palazzo Ducale del capoluogo ligure.
Ad aprire l’incontro, una consapevolezza: quella di vivere in un Paese che più di altri si è dimenticato del proprio patrimonio artistico e architettonico. A seguire, la domanda principe: al di là delle ‘lamentele’, cosa è possibile fare affinché la situazione evolva un po’ meno peggio rispetto a quanto accaduto fino a oggi?
“Parlare di paesaggio in Liguria – esordisce Montanari – non è facile. L’abbiamo trasformato in un nemico, qui è stato cementificato il 40% del territorio costiero. Per invertire la tendenza è necessario sviluppare un ragionamento a tanti livelli. Innanzitutto, dobbiamo provare a cambiare il nostro vocabolario come inizio di un modo nuovo per vivere il patrimonio paesaggistico. Tutti vogliamo lo sviluppo, ma deve essere uno sviluppo sostenibile, che non ci chiuda in una bara di cemento”.
Il riferimento a Mafia Capitale e alle parole “con cui si parla della cosa pubblica” – lo si è appreso dalle intercettazioni audio contenute nell’inchiesta giudiziaria che ha appena portato all’arresto di altre 44 persone – è immediato. Ma per affrontare il tema, Montanari parte dalle parole pronunciate da Piero Calamandrei nel 1944, quando da rettore dell’università di Firenze disse: “L’Italia ha ancora qualcosa da dire”. Un discorso politico, quello di Calamandrei, che verterà molto sull’importanza del paesaggio e del patrimonio culturale.
Secondo Petrini “c’è una logica economica ben chiara della quale non ci siamo ancora liberati dietro alla situazione drammatica che è il depauperamento della terra”. Qual è questa logica? La risposta è netta: “Al centro non c’è il bene comune, al centro c’è il profitto”. Petrini cita Pier Paolo Pasolini quando dice che senza più contadini e senza più artigiani non c’è più la storia: “La società agricola che sparisce per lasciare il posto a quella consumistica – prosegue – non è una questione di modernità, è una scelta”.
“Oggi – dice ancora il creatore di Slow Food e Terra Madre – non c’è più cibo, c’è solo più merce. Non conta quanto vale ma quanto costa. La nostra agricoltura è al disastro e lo è in modo strutturale. Uno che decide di tornare alla terra riesce a farlo solo se si inventa un metodo di distribuzione capace di creare reddito. In Italia celebriamo la retorica dell’Expo ma contemporaneamente stiamo chiudendo i caseifici che producono Parmigiano Reggiano. E’ una logica perversa, un elemento distruttivo che ha generato il depauperamento del terreno agricolo. Il lavoro agricolo, peraltro, era anche un presidio per la pulizia dei fossi, dei boschi e il mantenimento delle colline affinché non franassero”.
Nel mirino di entrambi – Petrini e Montanari – lo Sblocca Italia di Matteo Renzi: “Ma non sbloccassero niente – afferma Petrini – nell’enfasi di questa voglia di fare… Sul fronte della ricerca petrolifera stanno nascendo piattaforme davanti alle nostre spiagge più belle e non c’è nella società civile la sensibilità necessaria a dire no. La questione, dunque, è un nuovo paradigma politico”. Nelle citazioni dell’appuntamento – senza chiamarlo per nome – entra anche Papa Francesco.
Quel che Petrini rifugge, però, è l’etichetta di ‘prodotti di nicchia’ affibbiata a ciò che non rientra nella grande distribuzione: “Le grandi multinazionali fanno mangiare al massimo la gente povera e guadagnano tantissimo. I contadini virtuosi fanno prodotti sublimi per gente ricca e non guadagnano nulla. Questo è un concetto da sconquassare: il diritto al cibo buono è di tutti”.
Un concetto, quello dei ‘chilometri zero’, che Montanari fa proprio anche rispetto al discorso sul patrimonio culturale, artistico e paesaggistico: “L’economia basata sulla risorsa petrolifera è di rendita, ha creato precariato e schiavismo. Ho molto apprezzato l’idea di aprire le porte del Quirinale ma non è pensabile che ci lavorino volontari. Non si possono sostituire le professioni con il volontariato”. Ciò che secondo Montanari va scardinato è un sistema che ha fatto sì che l’organizzazione delle mostre nei musei si sia trasformata in “una rendita in cui bivaccano in pochi”. La citazione stavolta è per il gruppo Civita, “presieduto da Gianni Letta, già sottosegretario alla presidenza del Consiglio” quando premier era Silvio Berlusconi. In questo modo “hanno drenato risorse pubbliche verso poche tasche”. Cosa bisogna fare? “L’esatto contrario. Anziché far viaggiare i cittadini, fanno viaggiare le opere. Expo è l’ultimo esempio”. Ecco perché “ora più che mai è necessario parlare al patrimonio diffuso nel Paese, far sì che i visitatori che affollano gli Uffizi a Firenze visitino anche le ricchezze – meno note, certo – che l’Italia offre”. I modelli? Piccoli, diffusi su tutto il territorio, magari affidate a cooperative di giovani che così avranno anche un lavoro”. L’esempio è quello del monastero benedettino di Catania. Ma per farlo “dobbiamo cambiare vocabolario”.